giovedì, aprile 19, 2007

Domani

La ruota della fortuna: Già sembra estate e il morso del calore stringe alla gola come un cane, affannando il respiro come se l’aria scendesse nei polmoni più lentamente delle gocce di sudore dalla fronte sopra gli occhi e poi sulle labbra, più salate ed aspre delle lacrime, a incorniciare il movimento di un occhio che non riesce a sbarrarsi completamente nell’orrore di chi sa di aver capito tardi, e già il proiettile perfora il cranio, immediato e lento in un’agonia perplessa che è già morte.
Allora baciami, amore mio, baciami ancora… che domani può non arrivare o arrivare domani, che nessun tempo ha il senso delle tue braccia che mi conchiudono, e trascorre come la pelle sottile del tuo seno tra le mie mani inutili e come queste non sa carezzare ma solo comprimere, manipolare, stuzzicare. Dammi il tuo corpo adesso, ed ora il tuo amplesso: è solo una piccola camera d’hotel, solo una piccola, squallida Louisiana in maggio; non c’è terra che non sia la tua carne e sangue versato che non ti appartenga, non un parcheggio desolato di primo pomeriggio dove solo la nostra macchina riposa in attesa dell’urlo della banca, che valga il tuo sguardo triste che mi abbandona per non cercarmi, adesso che accarezzo la tua schiena per non intercettarne la traiettoria e non trascendere nella sua limpida teoria di fine; e non c’è termine al peggio e al nostro peregrinare di sogno in sogno, con banconote che passano da mani tremanti a iuta capiente e volano nell’aria tra spari e sangue, e le mangia la polvere delle nostre ruote all’eco di sirene rombanti e pianti di donna, e le mangia la polvere come mangerà noi più tardi… è solo questione di tempo, mio amore, è solo questione di volo…
Mi tremi addosso stringendomi come a consumare la notte, tieni gli occhi chiusi a lungo e poi li apri come a volermi bruciare: mi odi, mi ami, vorresti non fossi mai nato? Magari a quest’ora staresti a guardare i tuoi figli dormire, o in un letto sicuro protetta da chi sa di esser buono… e invece sei mia, la compagna di un uomo cattivo che mente, che beve, che ruba, che fugge… ma se conoscessi un modo per battezzare la mia anima imponendole un nome, di certo, signorina Parker, sceglierei il tuo… e la potresti così chiamare nel sonno se ci buttassero dentro e lei attraverserebbe sbarre, mura ed ecco, sarebbe da te; e la potresti chiamare dall’alto dei cieli o in fondo all’inferno perché non ha paura e mai al tuo richiamo potrebbe mancare… e adesso che sospiri forte nell’aria nera il tuo amore amaro, adesso che dolce ti muovi su me come il mare, prendi le mie labbra fra le tue e non ti staccare, che stando così possiam fingere d’essere eterni, chiudere nel silenzio il nostro abbraccio veloce e lento, sospendere il gioco dei battiti e spingere i cuori all’economia d’una pulsazione sola, come un sordo rintocco nel petto, dell’anime un ultimo grande respiro.
Poche ore di sonno avvinto al tuo fianco mentre sveglia mi senti dormire. Non c’è nulla da sognare che non mi appartenga di già. Mi desto che riposi ancora e tocca a me ora vegliare: scorgo il tuo profilo sul cuscino da dietro la spalla come una vallata che s’apra, oltre una collina, all’aurora. Io ti amo, si… ti amo. Se avessi uno specchio davanti mi troverei terribilmente patetico: con che coraggio divento romantico? Puzzo di sudore invecchiato e birra, e il tuo fiato sa d’aglio; questa stanza è lurida e l’orinatoio sfiata mentre le mutande per terra ricordano stracci da pavimento e sul comodino c’è una pistola. Volevo comperearti tanti vestiti rossi e uscire da tutta questa merda… credimi, avrei freddato chiunque per questo… e invece siamo qui, con la polizia sempre alle spalle e niente da desiderare… non è triste? Magari è solo una strana forma di felicità, umida e asfissiante come la primavera di questa terra, nella cui rigogliosa fioritura pasciono serpenti, alligatori e fiori dal ventre tumido color sangue; ed è questa la mia natura mentre ti divoro di baci… e ti stringo e ti graffio e tu in ricambio mi mordi… no, non è delicata affatto la nostra bellezza, ma putrida e ancestrale come gli umori che secerniamo infestando la società, noi tumori, noi dolci assassini di anime belle.
Usciamo dal tugurio freschi e profumati come rose, fuori ci aspetta una magnifica Ford V-8 Sedan color sabbia, un gioiellino, e sono appena le sette di mattina. Mi tieni la mano sulla coscia mentre guido cercando di farmi venire il vento in faccia e ho voglia di caffè, poi in prossimità dell’appuntamento rallento: è pieno di alberi e sterpaglia tutto intorno e riesco a sentire le api ronzare nell’erba ai lati della strada… sento anche qualcos’altro e mi volto appena: l’eco del tuo urlo trova solo lo spazio di un attimo.
Nota: Continuo nella chiave del poliziesco ma stavolta non mi discosto dal cliché perchè mi dà l'occasione di riflettere sulla banalità del maledettismo rispetto all'intensità del rapporto d'amore e indagare la dimensione che il tempo assume agli occhi di un fatalista. (A chi mi fa scrivere...)

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