mercoledì, settembre 13, 2006

Un salice cavalca il ruscello

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Ofelia: Dolce, dolce, dolce é il respiro del vento, dolce, sui miei capelli lisci, dolce, quando sfiorano le spalle, dolce il mondo che mi accarezza, lontano da tutto, più dolce ancora!
Ho avuto dodici anni.
Ma che stupido bambino colui che si finge pazzo quando già lo è! ...io lo so, oh, lo so adesso.
La primavera é in fiore e il mio bimbo mi ha fatto credere in molte cose... ma nessuno crede più in me ormai... hey, nonnonny, nonny... ed è strano come sia dolce tutto questo, già: proprio strano... ed il mio bambino crede di aver ragione, crede di avere vinto... ma che futile damerino! In questo soltanto ragione aveva: non lo voglio più. Ma tanto ha ucciso mio padre... come se me ne importasse! Ho solo pianto un po' ma adesso intreccio rime... capite? Intreccio rime!
Quant'ero piccola prima... m'innamoravo, persino... adesso ho centinaia di anni e sono amore... questo si chiama crescere! Sono pure più vecchia del fratello, quel buffo uomo d'onore... chi se lo ricorda più? Ma basta adesso parlare di storia, intreccio fiori adesso, capite? Intreccio fiori!
E poi, ora sì che faccio cose interessanti: canto, danzo e corro per i prati come in questo momento, vestita d'ampie vesti e quasi volando... e tutti dicono che sono cambiata ma non sono io... è tutto che, d'improvviso, è diventato così dolce...
Il fato m'ha fatto fata, fato crudele, ah! ...fato gentile! E quel che più vale é che io possa passeggiare sulle rive di questo corso d'acqua, nel silenzio percepire come la corrente scivoli via portando con sé la mia vita... tuffarmi nell'erba ronzante energia per lasciarmi corrompere dal sole... come cosa, come cosa, che sono, cosa, e non altro.
Non vedete la differenza? E quale sarà alla fine la sua soluzione? "Tutto il resto è silenzio!" ...Che stolto! tutto il resto è rumore, caos ed altro... per questo non c'è neanche il dilemma... Io non devo mettere ordine, io sono donna: io resto.
E qualunque cosa, anche la più turpe, non diventa mai vendetta ma putrefazione... ed io putrefaccio già, ad ogni respiro: presto non sarò che un teschio ma anche i vermi sanno esser dolci... ed io muoio piano, dolcemente.
Ho perso il senno, ho preso il senno. Già gli odori delle piante mi si fanno più vividi, più vividi i colori, e i sapori in bocca mutano continuamente come le stagioni negli anni, nei corpi.
Quanta vita vive una farfalla?
Già il salice cavalca il ruscello, già le parole sono state scritte, e nel cadere tirerò giù con me una nuvola di foglie e fiori, una pioggia bianca e azzurra, rosa, viola, gialla e verde, e per un secondo camminerò in essa. Sembrerà fatalità, così come lo sembrò la follia, e i vecchi mi giustificheranno, e il pubblico ammutolirà o gemerà colpito... ma io avrò colto tutto ciò che v'è d'importante e dopo averne fatto tesoro lo spargerò ovunque, insieme alle mie polveri fertilizzanti... così partorirò quel che più mi piace, avendo già realizzato i sogni che non ho più.
Infine, dopo la terra e l'aria, sarà l'acqua ad accogliermi come alcòva: scenderò in profondità, negli abissi coperti di sassi, e non vedrò più il sole... poi mi ribellerò tanto perchè la metamorfosi non s'é ancora compiuta e il mio corpo deficia di spazio per contenermi tutta... ma la sofferenza creerà il passaggio e finirò come sono iniziata.
Bianco il sudario come neve in monte... un corpo bluastro un po' rosicchiato dai pesci affiorerà lentamente allo sguardo: prima una mammella, bianca nel verde delle ampie ninfee, poi la mano aperta a raccogliere una piccola pozza, i lunghi, sottili capelli bruni divisisi l'un dall'altro a creare un'acquatica aureola, un po' più in là, sconcio, un ginocchio e il resto pudicamente ascosto da alghe e verdi licheni, gli occhi aperti, sbarrati nel sole.
Dell'uomo poco, la natura ovunque... e tutto il resto sarà.
Nota: Ancora un lavoro dei miei diciassette, diciott'anni. In alcuni tratti la forma è volontariamente inaccessibile, sconnessa, ripetitiva e sgrammaticata ma volevo ricreare un tipo di pensiero che partisse da concetti reali per poi andar sempre più disperdendosi in sintonia con la "pazzia" della protagonista. Mi sono divertita a citare continuamente il testo originale di Shakespeare, come se Ofelia stessa conoscesse della sua sorte "melodrammatica": così, ad es., sono originali il titolo, la filastrocca e l'attacco del penultimo paragrafo. Mia intenzione era da un lato ricreare un'atmosfera un po' decadente (diciamo "preraffaellita"), dall'altro rivoluzionare la prospettiva amletica della vita e della morte contrapponendogli un modello arcaico, panistico e alchemico, dalla continuatività indubbiamente femminile. (A Valerio che ama le fate)

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