sabato, settembre 16, 2006

Nel labirinto

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Teseo:
Mi sono perso.
Riesco ancora a sentire il fiato caldo che sa di sangue
rappreso, gli ispidi peli da belva sudata, il battere infernale
del cuore che vola dal petto
ma non lo sguardo, indimenticabile, che forse era il mio...
E comunque ora morto.
Sono qui.
Potessi almeno capire se é giorno o notte,
oppure un'interminabile alba, o forse
un interminabile crepuscolo...
ma persino il sale stesso
di questi concetti mi sfugge
e nulla mi é più lontano
di quello che mi è vicino.
Non so dire di sicuro
nemmeno se sono seduto o all'impiedi
o forse, chissà, sto camminando
e non lo so
e le incognite sono ovunque,
nelle incognite stesse,
perché io sono un grande ignorante.
Le parole stesse
mi terrorizzano:
sono come questo posto,
nuove di zecca, vecchie di secoli,
sempre mutabili e quindi eterne...
per quanto mi riguarda,
in definitiva,
potrebbero essere questo posto stesso
e di più non mi ci soffermo a pensare
perché sono già stato pazzo
e poi mi sono ucciso.
Potrei credere d'essere un viaggiatore,
comunque non so mai cosa imparo
e per adesso tutto ciò che mi viene in mente é un pocket coffee
che quando ero piccolo non mi piaceva affatto
mentre adesso mi sgranocchio volentieri,
sempre, però, se sono cresciuto.
O nato, oppure...
ma sinceramente me ne frego delle filosofie
perché, anche se é un bel problema,
adesso non mi pare di amare proprio nulla
e anche nulla è un bel problema
epperò non me ne frega niente lo stesso
in quanto che forse sono per noia.
Ma amo tanto la vita
-quel che sia-
solo che ogni tanto mi lascio suggestionare
e poi questa specie di amnesia non mi dà pace
mi prende come un'onda lunga
portandomi dove non si tocca
e può sembrarmi persino
di annegare volentieri...
però poi mi trascina, nuovamente,
su lidi che ricordo conosciuti
ma che poi non riconosco
e allora penso a quanto debbano esser state piacevoli
le egoistiche lacrime che vi ho pianto
però poi ho nostalgia degli abissi
e tanta voglia di affogare in un destino prestabilito,
nel mio regno intestino,
come un feto dentro una puerpera.
Da giovane mia mamma mi ha fatto alzare una pietra,
sotto c'era una spada ed io ero un eroe
poi sono cresciuto ed ho mangiato molti fanciulli
poi ho vagato tanto,
tanto,
poi mi son morto
-e adesso dove sono finito?
Il tutto è andato complicandosi
e avrei davvero finito
(aggiunto tutto il resto, non c'è molto più di me in definitiva)
se non fosse per il filo.
Il filo è una cosa importante.
Questo lo so ma chiedermi il perchè vale quanto il chiedermi
se e perchè io debba morire...
che senso ha? che senso non ha?!
...ma perchè solo sofismi?!
Il filo è l'origine.
Lo vedo, che si perde oltre le mie spalle indefinitamente,
oltre ove persino non riesco a guardare,
oltre,
eppure é già nella mia mano
così com'é altrove,
come se fosse ovunque
però non lo lascerò mai andare:
è davvero tutto quello che ho, se mi appartiene,
ed é ormai come una parte stessa del mio corpo,
fuso nella carne del palmo;
però non é sempre stato mio
e mi é stato donato
come se qualcuno potesse donarmi me stesso:
per questo é tanto prezioso,
come una meravigliosa
ossessione...
finalmente qualcosa di cui vantarsi.
Io credo, poi, che porti da qualche parte...
però avanti o indietro o qui,
non so.
E prima o poi bisognerà partire,
incominciare o ricominciare,
dal momento che oramai ho costruito
o forse trovato
o imitato, pure,
una mia fede.
Riconsidererò il sole adesso
e tutte le mie stelle e poi
mi ricorderò di ringraziare
qualcosa,
forse qualcosa che ho sacrificato,
ma non può morire di sicuro per sempre.
Come me,
che potrei essere un bravo funambolo
sul filo
che assume forme strane
e a volte non è mai sempre del tutto dritto
né del tutto curvo
e cadere non ha importanza,
é cosa da mettersi assolutamente in conto,
ma poi forse alla fine non si cade mai...
comunque mi dà fastidio divagare
così a volte -sempre e mai-
detesto.
M'innamoro.
Qualcosa/uno mi potrebbe salvare.
Accenderò un fuoco,
potrei diventare un bel fumo
che si perde da qualche altra
parte...
raggiung...
Nota: Questo è un brano più recente che risente un po' di dottrine simboliste e un po', nella forma, del teatro futurista (n.b. il formato del testo imposto dal programma lo invalida pesantemente: nell'originale infatti ogni riga si dispone in maniera differente e autonoma rispetto all'ordine del paragrafo riempiendo in modo sinuoso la pagina). Volontariamente non ho rispettato alcuna regola grammaticale e ortografica cercando di badare più che al senso compiuto di ogni periodo alla sua musicalità e volendo trasmettere un senso di disordine e ricerca. Ogni confine sembra incompiuto, indefinibile eppure familiare. (A Sandra e Clara, che ci hanno creduto prima di me)

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