domenica, settembre 24, 2006

L'ultimo incantesimo

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Il matto: Mi son perso la spada per la via. Anche l’armatura lucente era ormai troppo pesante: adesso fa da rugginosa dimora ai gatti. L’anello lo tengo ancora, in ricordo di Nimue, ma tanto non mi è mai servito a niente. Per tutta la vita ho creduto potesse proteggermi dagli incanti, da quando lasciando il lago m’inoltrai per le strade dell’uomo, ma in realtà sono sempre stato inerme come adesso e, in più, tronfio delle mie illusioni.
Ti ho amato, Ti ho servito, Ti ho sacrificato la mia dignità, Ti ho obbedito sempre, Ti ho desiderato in ogni fibra come l’organismo vuole l’aria, Ti ho protetto. Per Te ho distrutto regni, ho mandato in pezzi i sogni miei e di altri, ho tradito un amico, ho imbevuto il Tuo letto del mio sangue e nel farlo, Amore, dolce e sola malìa, ho smarrito me stesso. Dovevo essere un campione, sono il ritratto di un debole.
Eppure ho camminato su un filo di spada, sepolto valenti guerrieri, danzato con le fate. Ma a che pro, se poi non sono che l’ultimo nella sfilza delle Tue vittime? Il più umile degli uomini in tutto mi equivale ed anzi forse Ti si sarà arreso con più sforzo. Chissà che sembianze avrai preso ai suoi occhi, se un dolce volto o magari un corpo desiderabile soltanto… non certo le sue iridi color rugiada e le sue labbra umide: quelle erano per me, per me soltanto, e nella sia pur disonorevole sconfitta me ne faccio vanto che, di tutte le Tue forme, hai scelto Tu, per me, la più meravigliosa. Si, Nemico mio adorato, con me sei stato abile davvero: mi hai preso l’intelletto e l’hai disintegrato nel Tuo volere, ogni senso l’hai rubato al mio sentire per dedicarlo a Te e persino il mio corpo m’hai strappato, perché sempre vagassi nell’ansia e nel disagio, incompleto e deforme, fino all’attimo in cui mi congiungevo, in Te, a me stesso.
Mira adesso la mia povertà: s’è vero -come sempre asserivo quando cavalcavo a fianco dell’uomo che costruiva regni d’idee brandendo, affilata, un’utopia- che ogni possedimento appartiene ai più che vi abitano, allora anche questa veste che indosso non è mia ma delle pulci… giro per il mondo così, tra macerie d’ideali e senza un desiderio che mi sopravviva, attendendo soltanto che Tu mi finisca… ma appare ormai chiaro che di me Ti sei dimenticato da tempo, ed è la Tua indifferenza ciò che fa più male, anche se alla Tua crudeltà ormai sono avezzo.
Non ricevendo stimoli da questo presente così vecchio, ecco che mi perdo in fantasie funeste le quali, inevitabili, portano a Te; mi fermo così a considerare il momento in cui Ti ho ceduto e come nessun’arte guerresca o magica, tra quelle che avevo appreso, mi possa esser servita a smascherarTi; infine, a furia di rifletterci, penso di aver capito come ciò sia successo: hai carezzato, Tu, o Impareggiabile, l’unica tentazione che abbia mai sfiorato la mia anima candida –l’ambizione al bene. Così hai impastato carne e fiato a costruire una creatura di specchio, che per natura chiamasse a sé la mia essenza e la chiudesse nel suo ventre senza però restituirmi mai nulla di più che la mia solitudine e, fredda al tatto, la consapevolezza di sfiorare con le dita ciò che mai avrei potuto toccare davvero, perché ciò cui appartenevo apparteneva a un altro. Ed ecco la trappola: cosa può ambire al bene se non il bene stesso? E se dunque quel bene era in me, ed io ero in lei, non era forse quel bene in lei stessa? Ma lei era del re, dunque il re possedeva il bene. In questo modo nella mia follia io ambivo a entrambi e così facendo credevo nella mia bontà. Però è venuto il giorno in cui quest’innocenza s’è disvelata mostro. In nessuna impresa mai fera più orribile ho incontrato di quella lacrima non pianta, disposta intorno alla pupilla spenta come a cullarne il dolore, nello sguardo deluso e stanco del mio signore, nascosto tra le rughe. Quanto avrei preferito che egli mi giudicasse, che mi mandasse a morte. Ma la sua incapacità di difendersi dal tradimento era talmente inclemente! La sentivo addentarmi il collo, lasciandomi senza respiro e senza parole, suscitando in me solo paura e debolezza, in me, che di quell’uomo m’ero nutrito come d’una leonessa il pargolo per poi, infame, morderle il seno. Allora mi voltai a guardare la mia signora, sperando di trovare ancora in lei un briciolo dell’antica luce, ma ancora una volta ella rifletteva la mia immagine, appunto, muta e disperata della mia scoperta.
Da allora vago in giro senza alcuna meta; a volte sono triste, a volte sono allegro e sempre senza un perché: non stimo la mia vita più di un cane, di una pietra o della stessa polvere… ed ogni tanto, a ricordarmelo, la pioggia mi copre di fango. Ogni cosa, intorno, è trascorsa… ma nelle mie muffe io appaio immutabile: anche i miei tratti han preso qualcosa d’antico ed inutile, come uno scoglio che sopravviva ad ogni maroso. E così è sempre più raro che qualche anima dabbene, accostatasi per una elemosina frettolosa, nello scorgere sul palmo della mano tremante una cicatrice profonda che sale sino alla punta del mignolo teso e immobile, per un secondo sgrani gli occhi non osando ficcarli nei miei e in punta di labbra sussurri “Sir Lan…” per poi convincersi della sua stupidaggine, piantarci forte una moneta dentro e tornare alle sue oneste verità. Molto mi piace quel momento, in cui mi convinco che un altro pezzetto di mondo è pronto a dimenticare le mie inutili gesta, e sorrido sdentato in commossa gratitudine. Poi mi giro e proseguo… un po’ più avanti, un po’ più avanti.
Nota: Inizia qui la serie di monologhi più attuale, quella che ho voluto dedicare ai Tarocchi. Da tempo mi diletto nello studio e nella pratica di quella che considero un'arte: la "lettura" delle carte. Più di ogni altra cosa ciò che mi affascina è l'universo di simboli che ogni arcano racchiude in sé, accumulato in secoli e secoli di cultura. Quel che con questa operazione voglio fare è trovare ad ogni "personaggio" degli arcani un volto, una storia tra le tante che sono atti a contenere e- nello stesso tempo- far si che il protagonista stesso del monologo possa a sua volta essere voce di un sentire diffuso, in cui potersi in qualche modo identificare. (a Beth, ancora una volta, perchè mi ha tanto infarcito di cultura celtica che il risultato -davvero inusitato per me- è questo! poi ad un'altra persona che "il y a pour quelque chose" e poi... a me)

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